venerdì 30 ottobre 2009

Nove gennaio: antefatto

Ma l’otto gennaio cade in un periodo infausto.
K sta male. Già in settembre avevo sottovalutato l’importanza per lei della perdita del nonno. Da quel punto le cose erano precipitate. In Germania una tesi di laurea può durare un anno. K aveva appena superato la metà. Dalle sue parti la vita si prende sul serio e lei si era forzata ad un ritmo da salariata, otto ore di studio al giorno.

Si può chiedere alla mente umana di fare più di quello che è in grado di tollerare, ma per assumere energia dove serve è necessario rilasciarla in altri punti. La fatica mentale dello studio aveva corroso la carne che isolava i sui nervi, esponendoli pericolosamente agli elementi esterni.

E io non capivo. Non capivo se erano i nervi o lei a parlare. Non capivo le accuse che mi venivano rinfacciate. La mia stupida mania di ragionare mi portava a discutere affermazioni che non avevano basi logiche. Là ho imparato che nessuno ha mai ragione o torto. Dipende tutto dal punto in cui si osserva. Il problema è solo quando si cambia punto di vista nell’arco di tre minuti.

E persistevo nel mio difetto, credere nel dialogo: discorsi di ore che non facevano che stremarci ulteriormente, soprattutto per chi doveva parlare la lingua dell’altro. In queste ore giravamo la verità, di solito dal nostro lato, ma anche da quello dell’altro, nei momenti di pentimento. Ma solo dopo ore la verità era dallo stesso lato per entrambi.

E si finiva sempre per fare la pace, al momento di lasciarci. Alla fermata di Harlemmermeerstation, alla stazione di Aalten, o la sera al computer, ci si lasciava sempre in concordia.

Il giorno prima di comprare il biglietto le chiedo cosa ne pensa. Ma qui non so come continuare. Io dico che mi aveva detto di andarci, a fare sto viaggio. Lei dice di no. La versione più probabile è che per quanto sia sicuro che ne abbiamo parlato, nessun Sì e nessun No siano stati spesi e il messaggio è uscito dalle incrinature causate da diversi modi di interpretare le implicazioni semantiche di frasi forse volutamente ambigue.

Per K la mia idea di partire è un affronto. È vero, non la porto con me, ma questo è perché a lei quel tipo di viaggio non interessa e se voglio fare un viaggio che a lei non interessa, il momento migliore è l'anno in cui lei avrà appena iniziato a lavorare e non avrà giorni di ferie da passare con me. Inoltre, dopo cinque anni a vedersi una volta ogni due mesi, non mi pongo neanche il problema per tre settimane di distanza.

E io non capisco le sue ragioni. Cè qualcosa che cerca di farmi capire, ma non riesco ad afferrare. Si vede che a volte è disperata perché vede che non afferro, ma io, per quanto ci provi, non riesco a farlo.

Ma poi arriva la laurea. K si calma, si trasferisce ad Amsterdam con me, trova subito lavoro e anche questi discorsi diventano meno frequenti. L'estate tonifica e anche le settimane prima del viaggio passano tranquille. Anche nei messaggi spediti e ricevuti nei primi giorni a Mosca si legge pace e concordia. E poi silenzio, fino a quel giorno, ad Ulan Bator.

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