domenica 12 dicembre 2010

Entriamo a Nurata dietro un camion carico di blocchi di marmo delle dimensioni di refrigeratori industriali. Il pianale è aperto sul retro e il parabrezza dell'UzDaewoo si incipria di polvere bianca.
I marmi vengono dalle montagne della catena che porta lo stesso nome della città e che comincia qui, con una rocca che parte dal centro, tagliando una fetta di torta nel perimetro della città.
Parcheggiamo in doppia fila e mezza, in uno spiano ai piedi della rocca. C'è un mercatino e un arco in stile arabo che apre la via verso le prime pendici della catena montuosa.
Come ovunque, in Uzbekistan la tariffa d'accesso ai monumenti è più alta per i turisti che per i locali, ma qui almeno nessuno lo nasconde o si preoccupa di nasconderci il fatto che pagheremo dieci volte quello che pagano gli autoctoni. Per loro è normale, e forse potrebbe esserlo anche per noi.
Non è per accedere alla catena montuosa che si paga, quello è gratis ovunque, forse perfino negli Stati Uniti, ma perché ai piedi di questa prima pendice si trova una sorgente d'acqua benedetta, stretta fra una moschea, alcune tombe di "uomini che conobbero Maometto" e l'inizio della via che porta alla fortezza, fatta costruire da Alessandro Magno dopo un sogno nel quale gli era stato consigliato di edificarla nella forma della costellazione dell'orsa maggiore.
Sono informazioni che ci vengono lanciate contro in inglese da due ragazzi che ci pedinano e cerchiamo di scrollarci di dosso in modo amichevole. Però a un certo punto essere amichevoli non basta ed è bene mostrarsi infastiditi quanto veramente siamo. I ragazzi sembrano aver capito e il più vecchio di loro, 16 anni e una voce pacata e tranquilla, quasi radiofonica, ci spiega che non gli interessano i soldi, ma solo esercitare il suo inglese.
Così, intimiditi dai sensi di colpa, come ci capiterà spesso in Uzbekistan, dove la gente che sembra fingere buone intenzioni spesso ha davvero buone intenzioni, ci presentiamo e ci apriamo al dialogo. Sono fratelli, il più grande studia al liceo e l'altro è più giovane di quattro o cinque anni, ci spiegano il sistema scolastico locale, che non riusciamo comunque a capire, nonostante il loro inglese sia preciso e molto corretto. Hanno un cellulare con file mp3 di musica russa, ma anche occidentale. Bon Jovi e roba da radio, fossero stati europei sarei inorridito, ma visto da est tutto assume una prospettiva più innocente. Saliamo sulla rocca alessandrina da scalinate con venditori di giocattolini da autogrill, poi la scala finisce e ci inerpichiamo sulla roccia e siamo ufficialmente all'inizio della catena montuosa di Nurata.
Fazzoletti colorati sono legati attorno ai pochi sterpi d'erba dura in cima alla rocca. Prima che io abbia il tempo di aprire la bocca per chiederlo, i ragazzi ci spiegano, con tono di disapprovazione, che si tratta di superstiziosi che seguono la moda e sporcano la loro fede islamica con elementi buddisti. È divertente, perché chissà quante volte ho preso in giro quegli olandesi di mezza età che si imbottiscono di ioga, ciacra e marigianna per fare i buddisti a modo loro. Anche l'Islam, a quanto pare, è insidiato dal relativismo. Per il resto, il loro rimane l'unico riferimento forte alla religione che sentiremo in questo paese dove i veli sono meno che ad Amsterdam o Trento.
Alessandro Magno, una sorgente miracolosa, l'islam e il buddismo ci ricordano che in queste terre di mercanti si sono incrociate in pace tutte le religioni: turchi, persiani, mongoli, ebrei, russi, cinesi, islamici, nestoriani, Ahura Mazda, Mani, Buddha. Religioni forzate a convivere con le trote nel ruscello benedetto d'acqua blu.
Dalla cima del promontorio vediamo tutto il centro abitato, con una buca quadrata proprio ai piedi della collina. I ragazzi ci spiegano che è il punto da dove i macedoni avevano scavato il materiale per costruire la rocca. Ora sul fondo sono state piantate due porte da calcio a distanza regolamentare, e nell'avvallamento sono stati ricavati gradoni per il pubblico. Tra tutte queste religioni, c'è un tempio anche per il Pallone.
Le montagne rimangono dietro la nostra schiena, come la coda di una cometa, all'apparenza accessibili facilmente, ma si sa che la montagna inganna. Al di fuori della città invece solo steppa, in leggerissima salita solo da lontano.
Scendiamo e i ragazzi ci portano al canaletto dove possiamo bere l'acqua santa. È fresca e nel mezzogiorno uzbeco è un sollievo miracoloso. Gli uzbechi attorno, compresi i nostri accompagnatori, sorridono orgogliosi della loro acqua freschissima e non credo a nessuno importi che quelli che hanno appena violato la fonte del Profeta sono infedeli europei. Salutiamo ed è un peccato non ricordare i loro nomi, complicati come la maggior parte dei nomi uzbechi.
L'autista (altro nome troppo complicato da comprendere) è contento di rivederci dopo due ore e ci trascina attraverso valli invisibili dal punto dove avevamo dominato la valle, con gialli che degradano in verdi, grigi, rossi, verso un'area sempre più rigogliosa e rinfrescata dal vento che scende dal Pamir. Anche la nostra carovana compatta si dirige verso Samarcanda.