venerdì 28 gennaio 2011

Andremo verso Forish, ai piedi della catena dei monti di Nurata, ma dal lato opposto rispetto a quello dove siamo già stati. È un paese minuscolo. Yan ha trovato da qualche parte il nome di un'associazione che organizza camminate sulla catena, passando la notte presso famiglie locali, in paesi dove spesso si arriva solo a piedi o sulla schiena di un asino.

Ma anche arrivare a Forish non è facile. Dobbiamo cambiare tre taxi condivisi. In tre possiamo permetterci di pagare anche per il quarto passeggero, ma dobbiamo comunque trattare sul prezzo.

Trattare è una di quelle cose che funzionano solo se ne sei convinto, se ti piace farlo. Noi cerchiamo di farlo sempre, per non rinforzare la convinzione che in Occidente possiamo permetterci di spendere senza pensarci e per non invogliare i locali a vendere i loro servizi solo ai turisti, anche se in Uzbekistan il problema ancora non sembra esistere. Forse però esageriamo, perché spesso ci accorgiamo che gli abitanti di questa terra di mercanti ci fanno pagare quanto pagano i locali.

E il nome "taxi" è solo una designazione, perché si tratta per lo più di persone che devono spostarsi per motivi personali e cercano di condividere le spese per il carburante.
La prima tappa è semplice. Da Samarcanda è facile trovare qualcuno diretto a Jizzax, una delle più grandi città del paese.
Jizzax è relativamente vicina a Forish, ma pochissimi viaggiano in questa direzione remota e i taxi costano molto di più. Pazienza. I taxi partono da un mercato e noi possiamo permetterci di far aspettare gli autisti mentre mangiamo delle frittate splendidamente unte: quello che ci vuole per riempire lo stomaco di chi non mangia da ore. Nel frattempo la pazienza degli autisti è provata e le offerte si abbassano. Dopo pranzo la spuntiamo per 25.000 sum in tre (conversione 1:1 con la lira italiana), la cifra che ci era stata indicata come normale a Samarcanda.

È sempre fra un mercato e l'altro che si muovono i taxi e anche a Forish ci fermiamo fra cocomeri verdi e mele minuscole, il tutto chiuso fra pareti sbrecciate, che stonano di fronte ad un monumento moderno in stile sovietico, ma dipinto della bandiera bianco verde blu. Forse i colori sono l'unica cosa che cambia davvero.

L'ufficio dell'associazione che organizza le camminate è al colmo di una collina. Un edificio con pareti perfettamente rette, come non ne vedevamo da un po'. Dalla collina, al tramonto, il panorama invoglierebbe a partire immediatamente. Le montagne ci offrono un saggio gratuito di quello che vedremo nei giorni a venire, giallo come le piramidi, con peli ascellari verdi nelle valli più in ombra. Poi la grande pianura e un'altra catena bassa in fondo, oltre la pianura. Ci accoglie un signore tedesco sulla cinquantina, che quasi un anno prima, mentre si stava preparando per trasferirsi in Etiopia con la moglie, è stato dirottato qui in Uzbekistan dall'associazione per cui lavorava.
Helmut ci fa scegliere il percorso. Yan camminerà per cinque giorni, attraversando la catena, noi possiamo permettercene solo tre e scegliamo un percorso più breve.

Per arrivare alla prima stazione dobbiamo prendere un altro taxi, che ci guida in linea retta, facendoci rimbalzare verso il primo paese e la prima famiglia.

Arriviamo ad un cancello che apre un varco in un muro a secco. All'interno un prato tenuto in ombra da alberi da frutta, con un tapshan e diverse capre sparse. Solo a distanza escono delle case ad un piano, un rifugio per gli animali ed un bagno all'esterno, con un secchio che dovrebbe funzionare da doccia.

Ci abita una famiglia con due figlie sui 10 anni. Sono amichevoli, simpatici, sembrano apprezzare l'umorismo che si può esprimere senza parole, ma la lingua è un confine più protetto di quello di una repubblica dell'Asia centrale. Le bambine non si pongono il problema. Ci portano a vedere gli animali e ci consegnano come fossero perle delle palline da ping pong di formaggio di capra. Poi ci offrono il tè e per la prima volta da giorni possiamo sederci a riposare mangiando albicocche e ciliegie.
A notte fonda, con le luci addormentate, la mia ragazza di città mi confessa di non aver mai visto stelle così luminose.

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