martedì 18 gennaio 2011

Anche a Samarcanda ci avventuriamo nei mercati. Da queste parti, è un ottimo modo per conoscere la vita locale. Basta evitare quelli più famosi, quelli vicini ai monumenti, o almeno tenersi lontani dai cartelli tradotti in inglese. Signore ambulanti, senza la necessità di un tavolo o un bancone, vendono pani rotondi e ricamati, ragazzi offrono sciroppi di colore fosforescente da bere sul posto, di sapore difficile da identificare. Si trovano cappellini quadrati, utensili da casa e lavoro, verdura. I cocomeri escono direttamente dai bagagliai dei furgoncini UzDaewoo e gli articoli di vestiario sono gli stessi ovunque: abbondano i falsi di Adidas e Nike, ma il marchio più popolare è Gucci, quasi più ricercato degli accessori con i marchi delle squadre di calcio. Le magliette rosa con scritto Chelsea in giallo, o quelle verdi che inneggiano al Real Madrid e ovviamente ovunque gli articoli firmati Barselona.
Carri ad asino motore escono dal mercato con noi, in direzione Shah-i-Zinda. Shah-i-Zinda è una linea quasi retta in salita, un sentiero che si arrampica in cordata sulla collina di Afrosiab, in mezzo ad uno dei cimiteri più vasti che abbia mai visto. La via è chiusa ai lati da decine di mausolei antichi, con la forma di tanti piccoli depositi di Paperon de Paperoni. I più spettacolari sono quelli posti più in alto, completamente ricoperti di piastre di ceramica blu e verde. È un ambiente sereno e silente, ci fa riposare dallo stress, passare un pomeriggio sottomarino esposti fra la luce blu e verde della maiolica.

Se si ignora la loro posizione isolata in mezzo al traffico turistico e stradale, i monumenti di Samarcanda sono i più impressionanti del paese. Samarcanda è una città moderna, fatta di parchi, viali ed uffici postali. Le zone residenziali di periferia sono le stesse di qualsiasi altra città, con ristoranti all-you-can-eat ed uffici in affitto negli edifici ancora in costruzione. Interi quartieri di scheletri di cemento in un formicaio di operai e gente che aspetta l'apertura di un nuovo sportello bancario (dal quale noi non possiamo prelevare), camminando nel parco fiorito dedicato al poeta Alisher Navoj.

Samarcanda è l'ultima delle tappe obbligate. Da qui potremmo scendere verso Termiz e il confine con l'Afghanistan, potremmo passare Tashkent e scendere nella valle del Ferghana, perché da qui non si sa niente degli scontri fra i chirghizi e gli uzbechi in corso proprio in quella zona. Potremmo andare a Shahrisabz e poi sulle prime pendici del Pamir. Potremmo, ma dobbiamo scegliere una sola meta e il compito è arduo.

Termiz sembra l'ipotesi più interessante, ma ci rimangono pochi giorni e qualcuno dice che serva un permesso speciale per raggiungere il confine con l'Afghanistan. Il Ferghana invece si dice sia una zona industrializzata e poco sia rimasto delle carovane che passavano sulla via verso la Cina. Ci sediamo a colazione l'ultima mattina, prima di partire per Shahrisabz e poco dopo si uniscono i motocicristi tedeschi, che ci presentano Yan, reporter francese della Magnum, in vacanza forzata dopo aver perso l'attrezzatura fotografica in qualche aeroporto dell'Asia centrale. Con lui camminiamo verso la banca nazionale, unico posto dove è possibile prelevare i sum da usare da qua fino al nostro ritorno a Tashkent. Yan è un personaggio interessante e ci racconta delle sue missioni fotografiche in Afghanistan e nelle zone di guerra del mondo. Giubbotti antiproiettile, scoppi di bombe e trovarsi in situazioni nelle quali ci si sente un verme a schiacciare il grilletto dell'otturatore.
Dice che fra pochi minuti partirà per tre giorni di cammino sui monti di Nurata. Ci chiede se vogliamo unirci, per dividere il prezzo dei taxi condivisi. Noi abbiamo già scelto Shahrisabz e lo lasciamo, sperando di rivedere il suo nome un giorno nelle didascalie del Newsweek. Ci fermiamo a rubare qualche amarena, pensando alle nuove madrasse da visitare, rendendoci conto all'unisono che probabilmente saranno uguali a quelle che abbiamo visto a Khiva, Bukhara, Samarcanda. Discutendone fra di noi rimaniamo stizziti per come nessuno dei due sia stato in grado di prendere la decisione che avrebbe preferito davvero. Senza motivo, forse solo per seguire i punti consigliati nella guida.

Ci accusiamo a vicenda, ma in realtà ciascuno di noi due sa di star accusando se stesso. Per interrompere una situazione sterile decido che c'è ancora speranza. Forse Yan non è ancora partito. Lo vado a cercare, ma non so dove sia la sua camera e in giro non lo si trova. La proprietaria dell'alloggio ci dice che Yan ha pagato e a questo punto probabilmente è partito. Così ci carichiamo gli zaini sulla schiena, facciamo per avviarci verso la rotatoria di Bibi Khanum, per trovare un taxi da condividere verso Shahrisabz, quando dall'ultima porta sul viale verso l'uscita principale esce Yan.

"Yan! Ci sei ancora!"
"Stavo per partire"
Stavolta non è necessario consultarsi a vicenda
"Aspetta, veniamo anche noi"

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